domenica 25 settembre 2016


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Chi ha ucciso Leonarda Polvani? L’irrisolto delitto di Casalecchio di Reno, nell’hinterland bolognese

La sera del 29 novembre 1983, Leonarda Polvani, ventotto anni, disegnatrice di gioielli, felicemente sposata da un anno con un insegnante di filosofia, due esami alla laurea al Dams di Bologna scompare  sotto casa, a Casalecchio di Reno, nell’hinterland bolognese.  Il marito allarmato,chiama i suoceri, che abitano sullo stesso pianerottolo, per sapere se la ragazza si è fermata da loro, ma così non è. Tante telefonate, a parenti ed amici, ma nessuno ha visto Lea. Quando il marito raggiunge il garage per prendere l’auto ed andarla a cercare, scopre che l’auto della moglie è lì, col motore ancora caldo. Alle 23 chiama i carabinieri per denunciare la scomparsa della moglie,
Quattro giorni dopo, il corpo di Lea viene ritrovato, per caso, da due guardiacaccia che stanno perlustrando la zona: in quei pressi ci sono varie grotte ma una in particolare, quella che è stata chiusa al pubblico perché, oltre ad essere una colonia di pipistrelli, è una delle più  isolate e, quindi, usata dalla malavita per traffico di armi, di droga, perfino di messe nere.
Lea  si trova stesa su pietrisco della cava, a faccia in giù, nuda per metà. Ha il reggiseno e la cannottiera strappati sul davanti e un maglione e un giubbotto sollevati sulla testa,infilati per un solo braccio, e per il resto è nuda. Ha ancora gli orecchini , gli anelli e la fede d’oro. Ha un laccio intorno al collo con il quale hanno tentato di strangolarla , ma è morta perchè le hanno sparato un colpo 6 e 35 a bruciapelo nel cuore.  Che ci fa Lea in quella grotta? Chi l’ ha uccisa ?
Decifrare i motivi della sua scomparsa  e della sua uccisione è un compito difficile. Non un amante, non un nemico.  Nessuna ombra. Ma i colpi di scena non mancano. Dopo poche ore  dal  ritrovamento di Lea, arrivano tre chiamate ai carabinieri. Un uomo ha notato una macchiana ferma davanti la grotta e ricorda la targa e la comunica al carabiniere. L’uomo richiama dopo un ora, nel caso il carabiniere non avesse capito, poi richiama ancora  per aggiungere qualche dettaglio.I carabinieri scoprono che la macchina appartiene  al proprietario di una discoteca, il quale parlando con un carabiniere  aveva già detto di sapere perchè la ragazza era stata uccisa . Era stato per qualcosa che riguardava il lavoro di Lea in gioielleria. Viene interrogato, ma nega tutto. I testimoni della strada dove vive  Lea non lo riconoscono in nessuna delle persone viste quella sera.  Dopo due anni uno spacciatore arrestato per un altro omicidio parla e dice di sapere chi ha ucciso Lea. Fa tre nomi di  pregiudicati della male bolognese implicati nello spaccio di droga: Angelo Alboino, già in carcere in Germania, dove ha trascorso dodici anni, Moreno Pesci e Carmelo Lopes.
Ma l’impianto accusatorio non regge. Lo spacciatore si confonde con un’altra grotta e con un altro omicidio. Lea è sparita in quei 5 metri che la dividono dal garage al cancello di casa, c’è un altra ipotesi che è stata presa in considerazione: che qualcuno le abbia mostrato un tesserino? In quegli anni, a Bologna c‘erano bande appartenenti alle forze dell’ ordine che commettevano rapine. La  gioielleria di Lea ne aveva subita una il mese prima. Potrebbero aver cercato di agganciare la ragazza per farne una basista all’interno,? Peccato che Lea tutto queste cose non le vuol fare, e così  le sparano?! Tornando però alla fine del 1983, gli investigatori escludono la rapina. La donna indossa ancora i gioielli e, a parte la verifica del guardiacaccia, non sembra che la sua borsa sia stata frugata. Che abbia subito una violenza sessuale e che sia stata uccisa forse perché aveva tentato di opporvisi? Forse, ma vestiti scomposti a parte, non sembrano esserci tracce di stupro. Lo conferma l’autopsia. L’ unica certezza, è che Lea è stata uccisa in quella grotta, lo confermano le tracce ematiche e gli oggetti che aveva con sè. Oltre la borsa  un piccolo contenitore con il resto del pranzo e un sacchetto dentro cui c’era una confezione di sei uova che forse aveva comprato sulla via del ritorno.
Chi ha portato lì Lea Polvani, sapeva dove voleva condurla tanto che il lucchetto e il filo spinato che rendevano inaccessibile l’ingresso della grotta  risultano tagliati da un tronchesino comprato da poco, perchè i taglienti non  erano usurati. Lo si capisce dal segno che lasciano, compatibile con l’utensile ritrovato nelle immediate vicinanze. Poi quale sia stata l’esatta dinamica dei fatti non è stato possibile ricostruirla.
 I segni di pneumatici, non consentiranno  di arrivare a un’identificazione e nemmeno a una pista su cui indagare.
Ma allora cosa è successo?
 Le testimonianze di chi abita nel  quartiere di Lea confermano agli investigatori di aver visto nei giorni precedenti la scomparsa una Fiat 128 di colore scuro. Avrebbe stazionato da quelle parti a più riprese e all’interno ci sarebbero stati tre uomini. Il caso resta un enigma, nessun movente, nessuna pista.
Il 1 marzo del 2002 dopo quasi vent’anni è stato riaperto il caso Polvani. Angelo Alboino, stanco e invecchiato, è ritornato in un’ aula di giustizia, dopo anni di carcere in Germania (il dibattimento per l’omicidio Polvani per lui era ancora  aperto e cominciato in ritardo perché  dopo la rapina in terra tedesca, la Germania  aveva preteso che il «pilastrino» scontasse da loro  la pena prima di concedere l’ estradizione),  per rispondere di un delitto del novembre dell’ 83, quello di Leonarda Polvani. Il caso si era risolto con l’assoluzione in appello  degli altri due imputati, Moreno Pesci e Carmelo Lopes, ma la novità è che dopo 18 anni da uno dei delitti più misteriosi di Bologna, che venne considerato uno dei delitti del Dams (per il fatto che la Polvani era stata iscritta all’ istituto universitario di musica e spettacolo) la Corte di Assise di Appello, acconsentendo alle richieste del procuratore generale Ezio Roi, decise  di far effettuare una perizia del Dna sui reperti ancora non distrutti relativi al delitto. La tecnica più moderna dunque si insinuava in un processo che fino ad allora  non era riuscito con gli strumenti classici a fare luce sui moventi e sui responsabili della morte della giovane. Un aiuto dalla scienza e dalla tecnologia per tentare di arrivare là dove si erano dovuti arrendere gli investigatori «tradizionali». L’ analisi veniva assegnata quella stessa mattina dell’ udienza ai  carabinieri del Raggruppamento Investigazioni Scientifiche e effettuata su una corda trovata attorno al collo della Polvani, i suoi vestiti e una tronchese trovata nelle vicinanze del cadavere. Alla prova non si opponevano  gli avvocati Mario Giulio Leone e Manrico Bonetti, che rappresentavano la famiglia della vittima e Gianni Correggiari, che difendeva Alboino e che sosteveva  la sua assoluta innocenza.
Oltre alla prova del Dna i legali delle parti civili avrebbero voluto l’ammissione testimoniale dell’ ex carabiniere Fernando Missere, che venne espulso dall’ Arma dopo essere stato arrestato per avere commesso delle rapine. Missere all’epoca dell’omicidio era entrato in contatto con un certo Pietro Montaquila, che gestiva un locale chiamato Macrillo, nei pressi della Questura. Missere sosteneva che, qualche giorno dopo il delitto, Montaquila lo aveva avvicinato nel locale per dirgli alcune cose relative alla sparizione della Polvani. Montaquila secondo Missere, che a quei tempi era considerato un carabiniere corretto affermò che la sera della morte della Polvani un amico gli aveva riferito di aver visto un’ auto fuori della cava della morte, guidata da un uomo che stranamente assomigliava proprio a lui, a Montaquila. Cioè, Montaquila nel descrivere quell’ uomo descrive in realtà se stesso. Una storia stranissima, ancor più alla luce del fatto che Missere si  rivelò poi  essere in realtà un rapinatore.  (Da Repubblica, marzo 2002) Depistaggi, prove del Dna, rapine, quali gli esiti di questa intricata trama?!
L’esame peritale evidenziò solo tracce di sangue femminile. Sul corpo e sugli oggetti della ragazza, nessun altro Dna.
In un articolo di Paola Cascella uscito su Repubblica il 24 maggio 2002 si legge: «Sapevamo che forse anche l’ ultimo imputato sarebbe stato scagionato. Ma da parti civili abbiamo voluto partecipare al processo come angeli custodi, come tutori della memoria di Leonarda. Noi siamo stati la voce muta di chi non può più dire nulla». C’ è un fondo di tristezza nelle parole dell’ avvocato Mario Giulio Leone che parla anche a nome del collega Manrico Bonetti: l’ omicidio della disegnatrice di gioielli Leonarda Polvani è senza colpevoli. Ieri, dopo 19 anni, anche Angelo Alboino, uno dei protagonisti della malavita bolognese degli anni ’80, è stato assolto. Alboino torna in cella, deve scontare ancora sette anni per varie rapine. Un cumulo di pena che il suo avvocato Gianni Correggiari tenterà di far accorciare con una richiesta di appello tardivo. «Ma non volevamo in carcere un innocente – dice Leone – . Il nostro unico obiettivo è che le motivazioni di questa sentenza recepiscano un principio fondamentale: se c’ è stata una una vittima massacrata, torturata, sovrastata dai suoi assassini quella è Leonarda Polvani, una persona dalla vita semplice, trasparente come una lastra di cristallo. Vogliamo soltanto che i giudici ci diano atto di questo».
Ad oggi nessun colpelvole, nessun sospettato, solo una certezza, Lea Polvani è stata uccisa e nessuno sa ancora il perchè.
Wilma Ciocci   Alessandra Severi 

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